duca Luigi Silvestro Camerini
Con la notizia della fine della guerra sbarcò a Ischia anche un giovane antifascista. Veniva dal confino della vicina isola di Ponza, dove era stato relegato dal governo fascista per aver contestato pubblicamente l’ingresso in guerra dell’Italia a fianco della Germania nazista. Era Luigi Silvestro Camerini. Il casellario politico centrale lo definì possidente, nato nel 1906 e residente a Piazzola sul Brenta, laureato in lettere. Nella realtà era il figlio di uno degli uomini più illuminati, progressisti, e facoltosi del Veneto, Paolo Camerini, il cui impegno nel progresso industriale e sociale aveva trasformato profondamente la fisionomia di un piccolo paese rurale in uno dei più industrializzati e avanzati del Veneto: centrale elettrica, fornace di laterizi, fabbrica di concimi chimici, cementificio, iutificio e una ferrovia. Negli anni Trenta il giovanissimo Camerini, cresciuto in quell’ambiente, aveva dunque già molto vissuto e visto, e soprattutto aveva molto viaggiato, spingendosi fino in Asia, dove aveva trascorso molto tempo in India, appassionandosi alla botanica e al paesaggismo. Da Ponza, liberato dagli alleati, condotto a Ischia, se ne innamorò. Amava le terme e faceva i fanghi allo stabilimento che attingeva alla sorgente La Rita, che era collocato così in alto da non poter essere inquinato da nessuna infiltrazione. Soggiornava alla pensione Morgera a Casamicciola, dove strinse amicizia con Michele Castagna, un giovane locale, che sarebbe poi stato prezioso e indispensabile mediatore con la difficile realtà locale.
In quegli anni per tutti le isole del Mediterraneo rappresentarono l’immagine a lungo sognata di pace e libertà e, visitando l’isola, il giovane veneto s’innamorò di in un’ampia cala, la baia di San Montano, e sognò di riprodurvi il paesaggio e l’ambiente di una baia che aveva visto sulla costa occidentale dell’isola di Ceylon, allora colonia inglese: la baia del Negombo. Acquistò allora una serie di proprietà contadine che per ripetute divisioni erano ormai polverizzate, e fece arrivare piante da ogni dove per trasformare il luogo in un immenso giardino.
Con la sua vasta cultura umanistica – dal padre ereditava l’amore per i libri e nella residenza veneta disponeva di una biblioteca di quarantamila volumi – curò di ricostruire la storia dell’antichissimo bagno, i balnea sancti Montani, i cui ruderi erano ancora visibili al centro della baia e nel quale confluivano diverse vene di acqua termale. In età moderna quei bagni erano stati abbandonati, forse perché le vicine sorgenti di Lacco erano più agevoli da raggiungere, ma la loro fama era rimasta, perché si trattava di una sorgente ipertermale, che pur essendo vicina al mare, non ne era contaminata. Nel 1975 raccolse in un piccolo volume un’accuratissima rassegna bibliografica dedicata ai bagni di San Montano e alla baia che era ormai sua proprietà e, in un passaggio del suo scritto, raccontò la sua storia in quella baia. Nei lontani anni Quaranta, appena arrivato a Ischia, aveva pagato «profumatamente una trentina e più di piccoli appezzamenti negletti dai troppo numerosi proprietari» e aveva costituito una società, la Cinarime, anagramma del suo cognome. Quella società difese con tutti i mezzi la baia dall’aggressione dello sviluppo turistico che interessò gran parte delle coste italiane negli anni Cinquanta e Sessanta. Negli anni nei quali la progettazione architettonica, sollecitata dall’intervento straordinario della Cassa del Mezzogiorno, era proiettata su grandi e devastanti complessi alberghieri, Camerini elaborò un progetto, che chiamò “Residence”, che prevedeva una serie di piccoli padiglioni nascosti tra la vegetazione della baia. Era probabilmente ispirato ai villaggi vacanza che stavano sorgendo in più punti del Mediterraneo soprattutto per iniziativa francese. Ma il suo progetto non fu mai accolto; come lui scrisse, «la pratica, regolarmente approvata a Roma, veniva insabbiata presso la Regione». Intanto la baia venne infittita con continue piantumazioni e ancora difesa da Camerini dall’aggressione del turismo balneare, che chiedeva di giungere fin sulla spiaggia con una strada carrozzabile. Ma le resistenze locali al progetto del Negombo erano anche di altra natura.
Gli scavi archeologici condotti nella baia avevano portato alla luce i resti di una necropoli greca. Nel 1955 in un corredo funebre fu trovata una piccola coppa, oggi nota come la coppa di Nestore, conservata sull’isola nel museo di Villa Arbusto, che presentava uno degli esempi più antichi di scrittura greca e recava un frammento di poesia contemporanea a quella del celebre poema epico attribuito ad Omero.
La tutela della baia di fatto imponeva un immobilismo all’iniziativa privata e rafforzava le resistenze provenienti anche dagli ambienti amministrativi, ma tra «inenarrabili ed incredibili ostilità» nel 1971 il parco termale del Negombo divenne realtà. In attesa della concessione termale, fu allestita una prima piscina olimpionica di acqua marina, e subito dopo si mise mano al centro balneo termale, alimentato da una vena d’acqua tra 70 e 80 gradi pompata a circa sei metri di profondità. Il Negombo avviò così la sua storia dispiegata su undici ettari di verde, di cui quattro a parco termale.
Negli anni Ottanta il Negombo fu capace di intercettare il mutamento di cultura turistica in atto e capire che la domanda cominciava a esprimere un bisogno di benessere totale. L’attenzione lasciava la spiaggia e si spostava altrove, nel rapporto sensuale e benefico con la natura. Nel 1988 si rimise mano al Negombo, e con l’intervento del paesaggista Ermanno Casasco, si rafforzò il disegno e la presenza del contesto naturale, cercando ogni spazio e occasione per inserirvi la risorsa termale: doccioni, stufe, grotte calde, piscine, percorsi caldi e freddi.
Dagli anni Novanta il successo del Negombo e dei parchi termali conferma che se di ripresa del termalismo è possibile parlare è perché le acque, i fanghi, le grotte, assieme agli altri elementi naturali sono cercati come risposta a corpi affaticati dall’aggressività e avvelenati dall’artificialità.
La ricerca di un benessere totale spiega il successo di tante strutture che a partire dagli anni Novanta del Novecento hanno allestito piscine calde e percorsi termali, wellness, beauty per la cura del corpo. Molte si definiscono, naturalmente impropriamente, terme e spa, ma di fatto impiegano acque che non sono né minerali né termali, sopperendo con la tecnologia al riscaldamento delle acque, all’aromizzazione, alla nebulizzazione, all’idromassaggio e tanto altro, nel tentativo estremo di riprodurre la natura.