L’hortulus del monaco Walahfrid, in De cultura hortorum, non effigia il giardino edenico e neppure i frutteti mesopotamici della città di Uruk; non evoca l’esotismo assiro dei giardini di Nimrud e nemmeno i lussososi spazi pensili di Babilonia; non rappresenta le erbe balsamite dell’Egitto e tantomeno il genius loci dell’Arcadia. Né si prefigge di assomigliare ai giardini naturali delle Esperidi, alle geometrie artificiali del tempio di Efeso, ai giardini filosofici dei Greci, all’hortus urbanus dei Romani, all’hopus topiarum di cui parla Plinio il Vecchio, ai pergolati descritti nel De re rustica o ai giardini di piacere con la loro imitatio ruris. Non vuole richiamare i modelli dell’antichità o ricalcarne le simbologie dell’hortus conclusus medievale. Al contrario è un piccolo luogo ove regna la semplicità e crescono con il soccorso della natura
e l’operosità del giardiniere gli ortaggi per la tavola, le piante medicinali , infine i fiori con la loro bellezza.
Mario Gennari, Hortulus
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